Addio San Bernardo, in montagna la nuova speranza sono i veicoli aerei senza pilota
Malgrado resista ancora l’immagine del cane eroe dei salvataggi in montagna, il futuro del primo soccorso non sarà un amico peloso, ma in fibra di carbonio.
Un gruppo di studenti della Facoltà di Ingegneria della prestigiosa University of Warwick di Coventry, in Inghilterra, ha progettato un veicolo aereo senza pilota (UAV) in grado di fornire aiuto immediato e attrezzature a persone in pericolo, in attesa dell’arrivo delle squadre di soccorso.
Spinti dal desiderio di dare un volto umanitario ai droni, sette studenti del quarto anno provenienti da diverse discipline ingegneristiche hanno lavorato a uno sviluppo del prodotto in ambiente reale nell’ambito di un programma finanziato tramite una partnership tra governo e industria, denominato Horizon (AM), che mira a mettere a frutto le tecniche della produzione additiva nell’innovazione aerospaziale.
Il capogruppo del progetto, Ed Barlow (che nel frattempo si è laureato), sapeva di poter contare su una stampante 3D per grandi formati. E ciò significava che il gruppo poteva progettare e fabbricare qualcosa di diverso rispetto agli UAV già in uso per fornire soccorso e provviste, ad esempio i droni Zipline che la startup americana impiega per il trasporto di sacche di sangue e plasma negli ospedali del Rwanda.
“Usano tutti una cellula che si può andare a comprare in negozio”, dice Barlow. “Noi avevamo bisogno di una cellula su misura, realizzata appositamente per voli di lunga distanza con un carico pesante”.
Il processo di progettazione che ne è derivato ha messo delicatamente in equilibrio, con un compromesso fisico, tratta aerea e capacità di carico. Come primo passo, il gruppo ha deciso di non usare una fusoliera tradizionale per il corpo dell’UAV. “La fusoliera è sostanzialmente un peso morto”, dice Barlow. “Non genera alcuna portanza sull’aeromobile. Abbiamo optato per un corpo tuttala, o “ala volante”, dove la fusoliera è incorporata nell’ala in modo che, come le ali, possa essa stessa generare la portanza”.
Il progetto non prevede una coda stabilizzatrice, così il team di Barlow ha dovuto calcolare con precisione l’assetto delle ali in modo da consentirgli ugualmente di planare. “Ci sono un’infinità di parametri geometrici da dover modificare”, dice Barlow, “per i quali ha rappresentato un vantaggio poter usare Autodesk Fusion 360, grazie al genere di simulazioni e ottimizzazioni della forma che si possono ottenere. Abbiamo eseguito moltissime simulazioni, ripetutamente, così da essere sicuri di ottenere correttamente il coefficiente di resistenza aerodinamica, la portanza e l’ottimizzazione della forma perché tutto fosse stabile e leggero”.
All’inizio, prima di definire il progetto finale, il gruppo ha costruito un prototipo in schiuma con un’apertura alare di un metro, attaccando una serie di batterie e di apparecchiature radio per testare il funzionamento in volo. “Alla fine non è rimasto che un sacchetto di schiuma a pezzettini”, afferma Barlow. “Quel volo è durato 21,2 secondi”.
Il prototipo è precipitato perché era troppo pesante per volare a una velocità bassa abbastanza da consentire al gruppo di tenerne traccia in cielo: avrebbe avuto bisogno di un’apertura alare maggiore per generare più portanza. Il progetto adesso prevede un’apertura alare di 2,2 metri, telecamere a immagini multiple e un sistema di tracciamento ad antenna alla stazione di base per mantenere il contatto. È munito anche di due sistemi di controllo progettati con Autodesk EAGLE: un trasmettitore manuale tradizionale per il decollo e l’atterraggio e un sistema di pilota automatico controllato da software open-source modificato.
Il Professor Simon Leigh, associato presso la Facoltà di Ingegneria della University of Warwick, specializzato in produzione additiva, ha guidato il gruppo di Barlow durante il progetto. Sapeva che gli studenti avrebbero stampato in 3D gli stampi riutilizzabili dei componenti del corpo dell’UAV da impiegare poi per l’infusione della resina rinforzata sulla fibra di carbonio, resistente ma leggera, e creare il prodotto finito. Il Prof. Leigh riferisce che la stampa 3D ha richiesto un mese di seguito per finire gli stampi. Dopodiché, anche l’infusione della fibra di carbonio si è rivelata una vera e propria sfida.
“Abbiamo usato l’infusione con resina liquida, che è sotto vuoto”, spiega Barlow. “Si applica il vuoto alla fibra di carbonio sullo stampo e poi vi si inietta la resina sotto vuoto. Generalmente, ciò avviene su una scala molto più ampia, con componenti dalla geometria molto più semplice, così abbiamo dovuto inventare tantissimi strumenti per realizzare questa fase”.
Barlow non ha potuto approfondire queste invenzioni dati gli accordi con il partner industriale GKN Aerospace, che può commercializzarne alcuni in futuro. Poter esercitare quel tipo di pensiero innovativo lavorando con un’azienda di quel calibro è stata un’esperienza e un’opportunità eccezionali per gli studenti, afferma Leigh. Ora loro continuano ad impiegare il pensiero creativo nella realizzazione di componenti per l’UAV multifunzionale, in modo da ottimizzarne il peso.
Ad esempio, la funzione principale dell’UAV sarà quella di cercare infortunati in montagna, atterrare accanto a loro con il paracadute e recapitare aiuti. I paracadute potrebbero essere fatti di coperte isotermiche utilizzabili dalle vittime e nell’aeromobile potrebbero essere inserite anche altre apparecchiature. Un software apposito potrebbe perfino calcolare il carico a seconda delle esigenze di ciascuna emergenza.
“Potrebbe suggerire il carico necessario e in che modo bilanciarlo per ottenere il centro di gravità esatto” sostiene Leigh. “Perciò abbiamo catalogato gli aiuti che intendiamo caricare ed elaborato il punto preciso dell’aeromobile su cui collocarli”. Il gruppo ha anche esaminato, grazie ad Autodesk Netfabb, il software per la produzione additiva, come ottimizzare gli aspetti del progetto UAV per facilitare la stampa 3D e ridurre il peso.
L’obiettivo di Barlow era quello di realizzare un UAV con una capacità di carico di 5 chili all’incirca e in grado di percorrere una distanza di 80 chilometri, ma questi parametri superano di gran lunga quanto previsto attualmente dalla normativa britannica per questo tipo di drone. I diversi livelli di normative applicate agli UAV dalla Civil Aviation Authority (CAA) del Regno Unito e i regolamenti sulle comunicazioni wireless previsti da Ofcom, l’ente regolatore britannico per il settore delle comunicazioni, sono “un po’ un campo minato difficile da percorrere”, commenta Leigh.
Amazon ha portato a buon fine le sue prime consegne via drone nel Regno Unito nel dicembre 2016, sebbene con restrizioni significative. Ma Barlow ritiene che la CAA intenda creare un livello di spazio aereo per piccoli UAV, i cosiddetti SUAV. “Sarebbe lo spazio nel quale i droni di Amazon potrebbero effettuare le consegne”, dice, “e lo spazio nel quale dobbiamo lavorare”.
Così, indirettamente, la tecnologia per paracadutare in 15 minuti gli auricolari, le schede SD e gli Echo Dot agli inglesi potrebbe anche servire a salvare vite umane.